lunedì 21 dicembre 2009

Della "vita sulla terra"

Recenti studi dell’università di Città del Mexico hanno dimostrato che la tipologia Y dell’Homo Sapiens Sapiens, che chiameremo per convenzione “femmina”, ha preso un percorso evolutivo differente dal resto del ceppo. Nel corso degli anni le condizioni climatiche e la scarsa propensione all’analisi ambientale hanno ostruito i pori utilizzati per il raffreddamento del cervello, aumentando lentamente ma in maniera inesorabile la temperatura interna del celebro, con la conseguente ebollizione dei neurotrasmettitori che portano alcune categorie di informazioni laddove era prevista l’elaborazione e la sintesi delle stesse. La grande capacità dell’organismo umano di adattarsi all’ambiente circostante e alle condizioni avverse ha così sviluppato nella specie “femmina” alcuni istinti secondari che potessero sopperire alle carenze dovute al sopracitato surriscaldamento. Parte dell’emisfero orientale del cervello, normalmente utilizzata dalla tipologia umana maschile per eliminare la sensazione di prurito genitale attraverso lo sfregamento della parte sensibile con l’ausilio degli arti superiori, è stato così lentamente oberato di lavoro per l’esigenza di sintetizzare quelle informazioni in esubero che non trovavano la loro normale destinazione fisiologica. Da qui il Dottor John Armando Perez Rodriguez dell’università di Città del Messico ha spiegato la sproporzionata tempistica di gestazione del pensiero femminile, e la sua propensione ad attribuire significati cervellotici e macchinosi a situazioni potenzialmente banali e accessibili.

martedì 10 novembre 2009

Dell’"equilibrio, della vita e delle altre cose"

Avere un punto di vista diverso dal coro è qualcosa che in genere non piace agli abitanti “Tuttinordine”, soprattutto dopo l’elezione della nuova giunta comunale presieduta dal primo cittadino nazi-comunista Commendator Zittiobbotte, integerrimo uomo di famiglia e impegnatissimo puttaniere tossicomane ma con grande fede nel Signore.
Qui i bambini vengono portati con i cani maleducati in centri di addestramento dove saltano gli ostacoli, fanno lo slalom e imparano a limitare la loro visuale al paradigma offerto dal municipio. A Tuttinordine i cittadini pensano tutti uguale così da poter andare d’accordo e per ogni domanda hanno anche una risposta banale, che comunque è pur sempre una risposta.
Di tanto in tanto c’era chi aveva dubbi e si faceva un’opinione ma il Sindaco, nella sua sconfinata generosità, appendeva nella piazza del paese un’ordinanza comunale che forniva la risposta giusta al quesito, che tutta la cittadinanza avrebbe dovuto acquisire come buona. Certo la gente aveva una discreta confusione in testa con tutti questi decreti e ordinanze, ma se non altro poteva evitare di perdere tempo con la critica, il raziocinio e il libero arbitrio.
Anche le novità erano regolamentate dalla “Commissione del Bene e del Male” che consigliava al cittadino di sentenziare un giudizio immediato attraverso l’associazione mentale del “nuovo” a un accadimento del passato, meglio ancora se negativo. Le cosa importante e prioritaria era quella di non prendere le cose per quelle che erano.
Ora l’amministrazione comunale, attraverso numerose ispezioni anali con marchingegni frufru, aveva scoperto come la complicazione delle cose semplici portava gli abitanti di Tuttinordine a una soddisfacente insoddisfazione.
E così c’era chi non se la passava come si deve, chi guardava al futuro senza vivere il presente, chi si mangiava le unghie delle mani ma avrebbe preferito quelle dei piedi, e c’era anche chi sorrideva molto ma per nulla.
La cosa incredibile era che, nonostante le varie convenzioni, i curiosi cittadini all’occorrenza compivano azioni orrende. Ancora più strano era che il sotterfugio non veniva propriamente condannato dal rigoroso Municipio che disprezzava bestemmie, rutti, scorregge silenziose e venditori di rose, ma non il sotterfugio.
Forse si trattava di una vera magia, ma la quadratissima gente di Tuttinordine poteva fare di nascosto le peggio cose. Certo sarà stata colpa del freddo, del caldo, o facilmente di quello schemaporco altrimenti definito come “normalità”, ma gli abitanti di quella città erano segretamente capaci di tutto.
Un giorno il Dio del Rock curiosando qua e là buttò un occhio nella vallata che ospitava la ridente cittadina e, resosi conto di quanto gli abitanti fossero disturbati, approfittò di svuotarsi la vescica proprio su quella porzione di pianeta, che malauguratamente finì negli abissi di quello che tutti oggi conoscono come il “Mar Giallo dall’Acre Odore di Urina”.

mercoledì 7 ottobre 2009

Dell' "Andare avanti fino al VIA"

Finalmente la stagione degli uragani dicono essere al capolinea. C’è ancora un po’ di vento, ma niente rispetto al tornado selvaggio che ha stravolto gli animi negli ultimi tempi.
Come ogni emergenza atmosferica che si rispetti anche la nostra maledizione a fatto le sue vittime e distrutto molto di quello che ha trovato lungo il suo percorso, ma questa aveva un sapore differente, e ce l’ha ancora. I danni non si possono ancora contare con precisione, ma il polverone si sta poggiando lentamente a terra e il panorama si fa poco a poco più chiaro.

Non ha fatto distinzioni e ha stravolto tanto il meglio quanto il peggio delle cose. Chi è rimasto in piedi ora cerca di capire dove si trova il Nord e se c’è ancora qualcuno sui cui poter contare veramente. Le calamità tirano fuori il meglio e il peggio delle persone, oltre a generare enormi possibilità di profitto, e il tifone "Invidia" che si è abbattuto sui nostri eroi ha ingolosito molta gente. Alcuni hanno cooperato per gestire la situazione, altri codardi sono rimasti chiusi in casa, alcuni si sono improvvisati sciacalli, mentre i peggiori hanno cercato di rovinare il lavoro di chi ha sfidato la natura, cercando di confondersi con il vento e con la pioggia per saldare vecchi rancori.
Cooperazione, invidia, amicizia, stupidità, desiderio di riscatto e rabbia convivono nello stesso ecosistema, in una terra di nessuno dove muoversi in qualsiasi direzione significa sempre pestare i piedi a qualcuno.

In giro c’è chi non ci crede e sospetta lo zampino del Dio del Rock, ma alcune abitazioni sono rimaste incredibilmente intatte. Chi si è mosso bene ha creato più scompiglio del tifone, oltre all’invidia di chi invece si trova con il culo all’aria.

Gioire delle disgrazie degli altri è un’occupazione di poco conto, ma chi decide di vivere “in un castello di carte” deve mettere nel preventivo la possibilità di essere spazzato via, e come sempre succede in questi casi… l’acquirente si assume il rischio.

Certo è stato un grosso colpo per il piccolo paese di marinai abituati a lunghi mesi di navigazione, ma ora che finalmente il peggio è passato (forse) c’è chi si ritrova nuovamente seduto sotto il portico di casa fumando una sigaretta, ma con uno strano sorriso stampato sul volto.


…guarda il ciclone scatenato dritto nell’occhio e gli diceeee…

lunedì 15 giugno 2009

Del "C'era una volta"

Nel paese di Quelchecciè bisognava arrangiarsi con le cose più semplici per passarsela bene.
Gli abitanti vivevano in modo pacifico. Certo esistevano antipatie e tensioni poiché i coglioni ci sono in ogni angolo del mondo, ma tutti quanti condividevano questo modo di vivere dovuto probabilmente alla tradizione delle passate generazioni. Se ci pensiamo è piuttosto normale che ci siano delle caratteristiche che accomunano le persone che vivono in una località.

A Quelchecciè la gente rideva per stupidaggini e si sedeva per terra. Era uno spettacolo strano per le comitive di turisti abituati a discorsi seri, alle sedie e alle macchine di lusso. Qui l’importante era arrivare a destinazione. Certo esisteva la fretta, ma era differente.

Una sera d’estate come tante altre giunse voce che a Cazzocheppalle, la città dietro la collina di papaveri da oppio, gli abitanti erano così innervositi dalla rincorsa della luna che erano stati colti da forte mal di testa e diarrea da stress. Dopo un consiglio cittadino dove parlarono cinque minuti del problema e un’ora e mezza di barzellette sporche, il sindaco di Quelchecciè propose al collega di Cazzocheppalle, di ospitare i cugini con l’obiettivo di cambiare aria e far passare gli antipatici problemi intestinali. Certamente non tutti erano contenti e in particolar modo i rompicoglioni che comunque se la fecero andare bene.

Arrivò il giorno, e a Cazzocheppalle rimase solo il guardiano e un signore col baffo e il fucile di fronte alla banca, presidiando il suo capitale da eventuali malintenzionati.

A Quelchecciè il primo giorno di convivenza fu curioso: i locali non la smettevano di ridere dei cugini mentre questi cercavano di continuo sedie per sedersi. Dopo 48 ore in piedi il sindaco di Cazzocheppalle non ce la faceva più, e stremato dal caldo e dalla fatica dovette accomodarsi per terra. I Quelcheccesi smisero immediatamente di ridere, mentre il resto dei turisti non poterono fare altrimenti che imitare il primo cittadino, con i loro frak turistici e le pellicce d’ermellino in piena estate. Ci furono otto ore di silenzio assoluto durante le quali tutti si guardavano circospetti, fino a quando un vecchio signore vestito da prete scoppio a ridere al solo pensiero che i balordi avessero aspettato due giorni prima di sedersi, alla disperata ricerca delle sedie. Quella risata fu contagiosa ed entrambe le comunità passarono le restanti ventiquattro ore del fine settimana a ridere con le lacrime.

Quando si trattò di ripartire c’era ancora chi ridacchiava mentre i sindaci si strinsero la mano. Tutti avevano imparato qualcosa di prezioso: “dare il giusto peso alle cose”. Ora a Cazzocheppalle si sarebbe riso di più della vita, mentre a Quelchecciè la gente sarebbe stata più aperta verso la diversità e magari anche un poco più seria verso le cose importanti.

giovedì 28 maggio 2009

Delle "Cose di un altro mondo"

C’era qualcosa che quella notte aveva un sapore differente. Pesandoci bene erano giorni ormai che il nostro eroe avvertiva fermento dentro e fuori dal contenitore.

Una sorta di irrequietezza di fondo che le puttanate a volte riempivano, ma che sempre più spesso tornava in superficie manifestandosi con un senso di confusione cosmica dovuta alla mancanza di qualche tassello nel quadro generale.
Succede che questo fermento celebrale aveva ottime possibilità di essere il travaglio di qualcosa che gli impiegati che lavoravano a tempo determinato nel cervello stavano duramente elaborando. Visto il caos presumo che il budget fosse limitato e alcuni archivi fossero stati affidati a microapprendisti fannulloni. Si trattava poi solo di questo: ritrovarsi nel proprio disordine e dare fiducia alla ciurma.


Forse era solo il periodo ma la tolleranza stava raggiungendo il fondo del barile, e siccome il Dio del Rock è sempre stato un tipo spiritoso (mi dicono sia lui che abbia inventato le barzellette sul dottore e il gioco della bottiglia..), prima mise alla prova i nervi del malcapitato e poi con una scusa qualsiasi lasciò spuntare dall’ultima mensola dell’armadio nella cambusa, la valigia delle grandi occasioni.


I punti di riferimento erano nascosti sotto un mare di cagate, ricordi della cresima e di quella volta che all’asilo vide la sua compagna di classe in mutandine (che momento doveva essere!). Alcuni di quelli che stavano con lui per mare erano stati colti da paurosi deliri probabilmente dovuti a un boccale d’acqua salata, altri avevano solo abbandonato la nave prima della tempesta, e c’era anche chi invece si era messo a mischiare incautamente la merda alle spalle del Capitano.
Il nostro eroe non sapeva bene come, ma c’era qualcosa nell’aria che lo rendeva agitato come un cane prima del temporale.


“Quelle nuvole non promettono niente di buono” disse il mozzo guardando lontano all’orizzonte.


“Vedi verme codardo e spregevole, quello che possiamo fare è cambiare rotta cercando di evitare l’uragano, allungando il percorso stabilito per acque sconosciute, prolungando la navigazione e aumentando così naturalmente l’esposizione al rischio di imbatterci nei gendarmi. Ma c’è un’altra possibilità a nostra disposizione: puntare dritti verso il ciclone, perché lo conosco e credo che quel codardo non sia così bastardo come sembra.. e ti confesso che al solo pensiero mi sento come un ragazzino adolescente dopo i suoi primi sei mesi di navigazione, arrapato al cospetto di una giovane puttana di porto.”


Era quasi l’alba e tutto sembrava ormai andare per il verso giusto...

lunedì 4 maggio 2009

Del "Credere ai mostri, alle fate e alla mamma"

Credo che se continuano a rompermi le palle in ogni posto dove metto piede, dovrò necessariamente ingessarle o almeno nascondermi per bene. Credo che non sia così difficile come dicono, ma nemmeno così facile come dico io. Credo che fumare faccia veramente male, ma va bene così. Credo che quelli che possiedono la verità in tasca in realtà possiedono solo un pugno di insicurezze nascoste sotto le chiavi, l’accendino e le monetine. Credo che la maturità sentimentale sia solamente un invenzione dei comunisti russi (teoria del complotto). Credo che ci sia un Elvis che controlla divertito la situazione da un punto di vista rialzato da dove le cose si vedono meglio. Credo che ci siano cose non comprensibili, ma che non sono sempre poi così interessanti. Credo che un giorno o l’altro sarà il caso di prendersela un pochino con calma, ma non oggi. Credo che gli amici veri siano pochi, e alcuni all’occorrenza te la buttano comunque nel culo senza troppi complimenti. Credo che dormire otto ore al giorno sia la cosa ideale, ma allora quando cazzo ci si diverte? Credo che sia tutto a portata di mano, il problema è sapere dove andare a prendere le cose. Credo che oggi la capacità critica sia un superpotere. Credo che Brooke Forrester sia un gran puttanone, ma che una così in famiglia la vorrebbero tutti. Credo che devo portare a termine almeno una cosa di quelle che comincio. Credo che i Griffin siano meglio dei Simpson. Credo che ci sia una grande confusione con cui convivere e che sia meglio mettersi in testa che fare ordine è possibile, ma solo a patto di prostituirsi nello standardmodello pensato per dare un senso a cose che molte volte non c’è. Calma..

..pressure, pushing down on me pushing down on you..

venerdì 10 aprile 2009

Dell’ ”Andata e del ritorno”

La questione è semplice: andare sempre a tavoletta è un rischio per due motivi, oltre a mettere a repentaglio seriamente il motore, al primo colpo di sonno ci sono buone possibilità di schiantarsi e finire dritti allo sfasciacarrozze. Ma qual è il limite oltre al quale non si deve andare.. In senso assoluto sarebbe saggio conservare un poco di carburante per il ritorno perché fermarsi per strada è una seccatura, prendersi del tempo per riposare quando le forze vengono a mancare, rispettare gli altri automobilisti perché non si viaggia soli e, per ultimo, tenere bene il mezzo.
Purtroppo, la convinzione di essere al volante di una fuoriserie da corsa non aiuta a conservare quel senso della responsabilità proprio del guidatore calmo e sereno. Così molte volte si spinge sul pedale tanto da non riuscire più a guardarsi intorno perché in quei momenti l’importante è tenere gli occhi incollati sulla strada, correre e andare più veloce degli altri, senza fare caso alla puzza di bruciato che esce dal motore.
Ora, che si sia alla guida di una formula uno o di un’utilitaria non cambia molto; quello che veramente fa la differenza è la percezione della strada, un buon disco,l’esperienza e la fretta di arrivare a destinazione, con quel senso di invincibilità che consente di passare stupidamente l’incrocio con il rosso.

Una considerazione: prima di correre è consigliabile conoscere bene il mezzo, onde evitare spiacevoli inconvenienti.

…..caaaaaanta y no lloooores…..

martedì 31 marzo 2009

Del "Essere guardie o ladri"

Non mi piace dare facili definizioni alle cose. È riduttivo e comodo, anche perché permette di catalogare persone, fatti ed emozioni differenti in contenitori troppo larghi, dove le differenze si perdono e le sfumature che rendono le cose interessanti si fondono in un tutt’uno dove ci sono solo buoni e cattivi, Batman e l’eccellente Joker, le guardie e i ladri ecc.
Sarà forse una visione opportunista della questione vista l’impossibilità di mettermi coscientemente da una parte piuttosto che dall’altra, ma se non altro credo di essere l’esempio lampante di quanto ci si trovi a convivere con molteplici aspetti della personalità. Credo che “giusto” e “sbagliato” facciano parte un po’ di tutti. La grassa fatica è bilanciare questi fattori.

Strano che questa natura polivalente sia sotto gli occhi di tutti, ma che molti fanno finta di non considerare. Si può essere buoni e cattivi allo stesso tempo? Il fatto è che non si può essere in nessun’altra maniera..

"Dear Elvis, please grant me the serenity to accept the things that I cannot change; the courage to change the things that I can; and the wisdom to know the difference!"

martedì 10 marzo 2009

Del "Giusto mezzo"

Dopo un inverno freddo e avventuroso di navigazione in acque tempestose oggi mi sono svegliato con un raggio di sole che è entrato nella schiena come un abbraccio di cui avevo bisogno. Ormai non ci si preoccupa nemmeno di guardare all’orizzonte per trovare quella destinazione stabilita sulle mappe così inettamente, senza considerare le variabili e gli imprevisti che avrebbero caratterizzato questo lungo viaggio.
Più di sempre oggi mi rendo conto di quanto la pianificazione sia solamente un concetto fatto per essere capovolto all’occorrenza. Ricordo bene il giorno della partenza, la preparazione, lo studio della rotta, delle tempistiche e della strada del ritorno. Di quel piano è rimasto ben poco, e forse solamente un marinaio e la sua ciurma temeraria, che a volte sfida il Dio del Rock e a volte invece ha solo voglia di ormeggiare.
È bastato un colpo di vento contrario per cambiare leggermente rotta, con la convinzione di ripuntare verso il percorso stabilito non appena le condizioni fossero tornate favorevoli.
Senza saperlo puntammo dritti verso una fottuta tempesta tropicale che ha seriamente rischiato di danneggiare quel carico segreto che nessuno nomina e che nascondiamo gelosamente sotto coperta. L’orrenda ciurma ormai non si chiede nemmeno più di cosa si tratti ma lo difenderebbe anche con la vita, come se fosse un pò di tutti.
E fu così che perdemmo la “giusta via”, o perlomeno quella via che stupidamente avevo pensato unica e necessaria per raggiungere il risultato che il mio “ingombrante committente” si aspettava dalla spedizione.
Ancora oggi non so se Lui sapesse a cosa andavo incontro.
Mi torna in mente il principio di tutto, ma non ho ben chiaro quando le cose cominciarono ad andare per conto loro, verso un punto che cambiava continuamente in relazione a quelle cose imprevedibili con cui ci si trova normalmente ad avere a che fare in navigazione.
Oggi come ieri mi trovo per mare. Qualche marinaio è rimasto al porto in attesa di altri incarichi, altri proseguono il viaggio e hanno negli occhi la stessa luce di sempre. Ma tutti ormai abbiamo capito che l’unica cosa da fare è difendere il carico, portarlo a destinazione integro e magari arricchito, rispettare il mare e godersi il viaggio nei brevi momenti che è possibile, pronti a puntare verso una luce all’orizzonte che forse è qualcosa ma forse anche no.
Non ce lo siamo mai detti, ma solo perché certe cose rischiano di sciuparsi con le parole.